Alcuni mesi fa, quando la situazione nel Pacifico equatoriale ha iniziato a cambiare gettando le basi per un nuovo
El Niño, che però ora stenta a decollare,
parecchi ‘esperti’ di clima che cambia sono tornati a parlare di
riscaldamento globale. Già, perché è cosa nota che gli eventi caldi che
arrivano più o meno randomicamente sulle acque dell’oceano più grande
del mondo portano al rilascio di grandi quantità di calore verso
l’atmosfera, lasciando un segno sempre o quasi riconoscibile nelle serie
di temperatura.
Non a caso, quello che alcuni dataset riportano come l’anno più caldo di sempre è il 1998, cioè proprio quando c’era un
El Niño super.
Poco importa che si tratti di variazioni di breve periodo e
che comunque abbiano accertata origine naturale, quel che conta o
conterebbe, è che la temperatura torni a salire, perché difficilmente
sarà possibile continuare ancora per molto a parlare di clima che cambia
perchè il mondo si scalda se questo non si scalda più, come ormai
accade più o meno proprio a partire dal 1998.
Ma, dicono sempre in molti, non solo El Niño (e la sua contropartita
fredda, la Niña) sono eventi climatici relativamente recenti, ma in un
mondo più caldo è probabile che questi siano sempre più intensi,
soprattutto per quel che attiene alla fase calda, naturalmente.
Capita quindi a fagiolo, in questa strana estate 2014 in cui di caldo
ne abbiamo in effetti sentito pochino almeno sin qui, la pubblicazione
di un interessante nuovo paper su
Science in cui, studiando una serie di dati di prossimità con precisione e definizione temporale senza precedenti
, sono state ricostruite le oscillazioni dell’ENSO (indice che racchiude entrambe le fasi) fino a circa 10.000 anni fa (
anche qui).
Guarda il caso l’ENSO, quindi sia El Niño che La Niña, sono oggi come
sono sempre stati, pur avendo avuto nel tempo diverse oscillazioni in
positivo e in negativo di cui naturalmente non si conosce la causa ma si
possono solo fare delle ipotesi. Tra queste, per ovvi motivi, non
compare quella antropica, ma sembra piuttosto ben gettonata sebbene non
univoca l’attività solare.
Qui cascano gli asini, al plurale perché sono parecchi quelli che
stanno ancora alla finestra a tifare per un redivivo global warming
causato dal prossimo El Niño. E’ infatti di fresca pubblicazione un
altro studio
molto recente, in cui sempre facendo ricorso a dati di prossimità, è
stata ricostruita l’attività solare degli ulltimi 3.000 anni. Secondo la
loro ricostruzione, il Sole avrebbe tre distinte modalità di
‘funzionamento’. Normale, minima e massima, con quest’ultima più incerta
per la lunghezza della serie.
E qual è stato, sempre secondo loro il periodo di più intensa attività solare degli ultimi 3.000 anni? Neanche a farlo apposta l’ultimo, cioè quello che già molta altra letteratura ha definito Solar Grand Maximum e che è durato
dal 1950 al 2009,
fino a subito prima cioè che il Sole piombasse nella quiete
dell’attuale ciclo solare. Un evento unico nella serie, un periodo in
cui l’attività solare, espressa attraverso il numero delle macchie
solari è stata più intensa che mai.
Ora, va bene che siamo apprendisti climatici e pendiamo dalle labbra di chi ne sa molto più di noi, ma pensiamoci un attimo.
Il Sole è l’unica fonte di energia di cui il sistema dispone.
Dal Sole dipendono le stagioni come il tempo di tutti i giorni, come le
temperature del giorno e della notte. Possibile mai che un evento unico
in una serie lunga 3.000 anni non abbia avuto alcun ruolo nell’aumento
delle temperature degli ultimi decenni del secolo scorso e che questo
sia invece da attribuire tutto all’attività umana? Mi dispiace ma non ci
credo. Chi sa, se può, ci aiuti a rifiutare l’ipotesi nulla.
A cura di www.climatemonitor.it